Alla fine, la macchina del festival si è messa in moto. Ieri sera, alle 20, in un Teatro Miela pieno fino all'uovo (in molti sono rimasti fuori, ma hanno potuto rifarsi con la seconda proiezione delle 22.30, seguitissima come la prima) la nostra direttrice Annamaria Percavassi ha presentato l'edizione del festival. A parte il piccolo lapsus di presentare questa edizione come "ultima" invece che come "nuova" (che ha generato in noi dello staff gesti scaramantici di vario tipo) tutto è andato bene. Annamaria ha parlato, come sempre, con passione del festival e delle sue scelte e ha presentato l'ospitone della serata, il grande regista serbo Goran Paskaljević, felicissimo di trovarsi di fronte a un pubblico accorso in massa per incontrarlo di persona (questa mattina, alle 11.00, all'Urban Hotel design si bissa, con Paskaljevic che incontro stampa e pubblico). Da oggi si entra nel vivo, anche se il Teatro Mila entrerà a pieno regime solo domani con la proiezione del mattino. Assolutamente da segnalare alcuni appuntamenti. Alle 18, al Miela, parte la sezione "Muri del suono-Walls of Sound", sui documentari musicali. Sullo schermo, Eisenwurzen (Das Musical) di Eva Eckert e Kreuzberg 36, di Angeliki Aristomenopoulou (presente in sala). Il primo è una sorta di blues dell'Eisenwurzen (regione mineraria della Stiria, un Heimat film sui generis, un musical documentario per amici (o detrattori) della musica popolare, ma anche una riflessione sulle possibilità reali che ha la musica popolare di trasmettere in modo corretto la cultura delle comunità che l'hanno prodotta. Proprio per questa sua disamina del rapporto fra territorio e musica, è accostato a Kreuzberg 36, ambientato invece nell'omonimo e famoso quartiere berlinese. Nel documentario entriamo per un attimo nella vita di una piccola comunità di giovani musicisti che considerano come loro patria Kreuzberg stessa (non la Germania e nemmeno la Turchia). Una quotidianità imbevuta di una tradizione tutta speciale, fatta di vecchi graffiti, di testi nati nei caseggiati popolari, di suoni che prendono vita in studi casalinghi di fortuna e nei concerti che organizzano nelle piazze del quartiere. Una musica che nasce letteralmente dalla strada e che si muove entro i confini di un mondo le cui coordinate sono i graffiti, la break dance, il rap, l'hip hop. L'autrice (presente in sala), Angeliki Aristomenopoulou, è una fotografa e regista specializzata in documentari musicali. Lavora per la Televisione greca dal 2005, per cui dirige una serie di documentari dal titolo “World Music”, una delle serie più seguite nel suo genere, interamente dedicata alla musica e agli artisti di un paese o di una regione del mondo. Muri del suono continua poi alle 22.30, sempre al Miela, con uno degli eventi della sezione: How the Beatles Rocked the Kremlin, di Leslie Woodhead (anche lui ospite del festival). Viaggio personale, ma anche un ciclo professionale che si chiude, per il regista Leslie Woodhead (pioniere del documentario televisivo inglese), che all'inizio della carriera giornalistica e quasi per caso filmò due minuti della famosa esibizione dei Beatles avvenuta nel 1962 al Cavern Club di Liverpool, di cui si vedono alcuni momenti anche nel film. 25 anni dopo quel primo incontro con i Fab Four, Woodhead cominciò a girare film in Russia e fu così che si accorse di quanto il ricordo e l'eredità dei Beatles, ormai assurti a simbolo di tutto ciò che proveniva da occidente, fossero vivi e presenti nella generazione di quelli che erano stati giovanissimi negli anni '60. Nel 2008, ha deciso di ritornare in Russia per ritrovare, a Mosca ma soprattutto a San Pietroburgo (vera culla della musica rock in URRS), musicisti, fan e persone comuni a suo tempo contagiate dal “virus” beatlesiano e farsi raccontare da loro come questa passione abbia cambiato la loro vita per sempre.
Al Cinema Ariston cominciato l'atteso omaggio a Helena Trestikova (di cui parleremo meglio in un prossimo post) e il concorso documentari, divenuto ormai centrale per il festival e unico spazio festivaliero italiano interamente dedicato alle produzioni documentaristiche dei paesi dell'Europa centro-orientale. Due gli appuntamenti in programma: alle 17 Cooking History di Peter Kerekes e alle 21.30 Holka Ferrari Dino di Jan Nemec, seguito da Rabbit à la Berlin, di Bartek Konopka.
Eccoci di ritorno dopo qualche giorno di silenzio, dovuto al gran lavoro di preparazione al festival. Ormai manca poco. Come potete vedere dal counter che compare anche su questa pagina, mancano ormai pochi giorni ed è incredibile pensare che in questo breve intervallo di tempo tutto andrà a posto: film, catalogo, materiali, ecc. Come ogni anno però ce la faremo e il 21 gennaio saremo pronti a partire con al 21a edizione. Edizione che sarà all'altezza delle precedenti (anche meglio) e che ha in serbo per il suo pubblico grandi ospiti e grandi film. Comincia a trapelare qualcosa di quello che stiamo preparando, per cui è arrivato il momento di cominciare ad approfondire i primi titoli. Come avrete forse letto dalla nostra home page, presenteremo due film che hanno in comune una cosa molto speciale: sono stati realizzati da un padre e da un figlio. Il padre è Goran Paskaljevic, autore che non ha bisogno di presentazioni e che il pubblico del festival conosce ormai bene. Il figlio è Vladimir Paskaljevic, che a Trieste porta- in anteprima italiana - il suo esordio nel lungometraggio.
Vediamo intanto il film di Goran P., presentato alle Giornate degli autori di Venezia lo scorso settembre. Il titolo è Medeni mesec (Honeymoons-Lune di miele) e racconta la storia di due giovani coppie dell'Albania e della Serba di oggi che decidono di lasciare i loro rispettivi paesi alla ricerca di una vita migliore in Europa occidentale. Quando la coppia albanese, dopo incidenti di ogni genere, arriva in un porto dell'Italia meridionale, iniziano i problemi. Lo stesso accade alla coppia serba quando cerca di entrare nella Comunità Europea attraversando in treno il confine ungherese. Lo stesso autore racconta così il film: "Ho immaginato il film come un trittico. La storia albanese è quella di una giovane coppia che vuole lasciare l'Albania perché le circostanze del paese non consentono di avere una vita felice insieme. La storia serba è su un'altra giovane coppia che vuole andare in Europa occidentale nella speranza di avere più occasioni che in Serbia. La terza parte è quella che intreccia i destini delle due coppie, le cui storie si sviluppano in modo parallelo e senza che i protagonisti si incontrino mai, come spesso invece capita nei film più tradizionali." Medeni mesec è il primo film frutto di una co-produzione fra Albania e Serbia. Sempre Goran P. dal press kit ufficiale: "Durante i 40 anni di crudele dittatura di Enver Hodxa, a nessuno della Serbia era consentito visitare la vicina Albania. Oggi, dopo i conflitti in Kosovo, sono ancora pochi i cittadini serbi che decidono di andare in Albania perché i pregiudizi e politiche sbagliate hanno contribuito a mantenere un sentimento di intolleranza fra le due nazioni. Tre anni fa, Genc Permeti (giovane pittore e scrittore), insieme al collega Ilir Butka, anch'egli scrittore e produttore, mi hanno invitato a presentare tre dei miei film a Tirana. Si trattava della cosiddetta "trilogia serba" ovvero Bure baruta (La polveriera), San zimske noći(Sogno di una notte di mezzo inverno) e Optimisti (Ottimisti). Confesso che non me l'aspettavo e all'inizio ero esitante, ma loro furono così insistenti che alla fine accettai e partii per Tirana. A tutte le proiezioni, l'unico cinema di Tirana era prieno come un uovo, con le persone che stavano addirittura in piedi. Ancora oggi, ricordo con grande emozione gli interminabili applausi che chiudevano ogni spettacolo e le domande del pubblico, che non furono mai maliziose, ma assolutamente aperte, intelligenti e corrette. La cosa che mi sorprese di più fu il fatto che il pubblico albanese dimostrava una certa famigliarità con la stragrande maggioranza dei miei film, che conosceva attraverso copie piratate, praticamente l'unico modo per poter vedere dei film serbi. La prima volta che andai in Albania (era il 2006), incontrai molti intellettuali che pensandola come me andavano oltre ogni forma di nazionalismo. Scoprii che albanesi e serbi, benché parlino due lingue del tutto diverse, hanno molte cose in comune, soprattutto il forte desiderio di diventare parte integrante dell'Europa. Fu così che nelle nostre lunghe conversazioni, annaffiate da bicchieri di raki, venne fuori l'idea che avremmo potuto combinare gli sforzi e dare vita a un film, diretto da me con una troupe mista. Una settimana dopo il mio rientro dall'Alabania scrissi la prima sinossi. La realizzazione di questo film, che è la prima co-produzione serbo-albanese, è stata resa possibile un anno dopo dall'intervento economico del Ministero serbo della cultura e dal Centro nazionale del film albanse, così come dalla Apulia Film Commission. Abbiamo girato senza grandi difficoltà, anche se comunicavamo in un misto di inglese, francese ed italiano... Dopo due mesi trascorsi insieme, quando la troupe albanese e quella serba si sono congedate, ci sono stati momenti di commozione, al limite del melodramma. Tutti avevamo le lacrime agli occhi e volevamo girare subito un altro film insieme... e poi un altro e un altro... Da noatre che invece gli attori delle due nazionalità non si sono mai incontrati, se non all'anteprima a Venezia".
Questo il film del padre. Vediamo ora quello di Vladimir Paskaljevic, che concorrerà al premio per il miglior lungometraggio in concorso. Il titolo di questa sua black comedy è Djavolja varos-La città del diavolo, che sarebbe poi la Belgrado di oggi, in cui si incrociano nel giorno in cui si svolge un importante torneo di tennis le vite di più personaggi: una ragazza povera che cerca di procurarsi l'attrezzatura da tennis a qualunque costo, un uomo d'affari che non riesce a sfuggire alla corruzione, un'adolescente bella, ma un po' oca, che cerca un marito facoltoso, una teenager benestante che non trova l'amore, ricche prostitute che fingono di essere felici, un tassista pazzo che incolpa il resto del mondo di tutti i suoi guai...
Un esordio nel lungometraggio per questo "figlio d'arte", già presentato con successo in diversi festival internazionali, fra cui Karlovy Vary, Montreal e Palm Springs e salutato con grande favore dalla rivista Variety.
guarda il trailer del film:
Due notizie sugli autori
Goran Paskaljevic è nato a Belgrado nel 1947. Ha studiato alla FAMU di Praga. Il suo primo cortometraggio Pan Hrstka, del 1969, venne censurato dal regime cecoslovacco. Il film venne comunque notato da Milos Forman, Jiří Menzel e Věra Chytilová. Molti dei suoi film sono stati premiati e apprezzati nei festival più prestigiosi, a cominciare dal suo primo lungometraggio Čuvar plaže u zimkom periodu, del 1976, presentato al Festival di Berlino, dove vince il Premio Internazionale della Critica. Nel 1992, il dilagare del nazionalismo in Jugoslavia lo costringe a lasciare il paese. Tornato nel 1998 per realizzare Bure baruta (La polveriera), subisce attacchi pesanti dalla stampa per le sue continue critiche al regime di Milosević. Decide quindi di lasciare una seconda volta il suo paese, alla ricerca di un luogo dove poter realizzare il suo film How Harry Became a Tree, che infatti viene girato in Irlanda. Ha potuto far ritorno a Belgrado solo dopo la caduta di Milosević. Dei suoi ultimi lavori, sono stati presentati al Trieste Film Festival San zimske noći (2004, Premio Speciale della Giuria al festival di San Sebastian) e Optimisti (2006).
Vladimir Paskaljevic è nato a Nis, in Serbia, nel 1974. Dopo il diploma in Regia presso l'Università di Arti Drammatiche di Belgrado, ha scritto, montato e diretto una serie di documentari per la televisione sul tema dell'integrazione dei bambini rom nella società serba e il cortometraggio Delfini su sisari(nel 1997), presentato e premiato in numerosi festival internazionali, per esempio con il premio FIPRESCI al Festival internazionale di Montreal. Vladimir ha anche scritto il romanzo BDSM, sull'assurdità del crescente nazionalismo, e la raccolta di racconti Optimisti, da cui il padre ha tratto il suo pluripremiato film, che porta lo stesso titolo.
è un'associazione culturale di Trieste che si propone di promuovere e incrementare tutte quelle iniziative in materia di cinema, sperimentazione e video, che costituiscono fattore di crescita culturale e di approfondimento sui paesi dell’Europa centro orientale, dell’Asia centrale e dei paesi che si affacciano sul Mediterraneo. Il progetto ha trovato la sua massima realizzazione nel Trieste Film Festival, nato nel 1988.
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