martedì 26 gennaio 2010

T 4 TROUBLE AND THE SELF ADMIRATION SOCIETY

Il 56enne Terry Papadinas vive a Salonicco, in Grecia. È un musicista fallito, isolato e dimenticato da tutti, alla ricerca disperata di una serata. La sua vita, però, non è sempre stata così. Cresciuto a Manhattan (dove la famiglia si era trasferita per motivi politici) durante gli anni '60, l'appena ventenne Terry torna in Grecia e grazie alla sua bravura e al suo carisma si impone subito come uno dei protagonisti della scena indie rock del paese. Dotato di un talento straordinario nel suonare la chitarra, diventa una vera e propria icona, ammirato da fan e colleghi e amato dalle donne. Con il suo perfetto inglese porta una ventata di novità in un paese in cui già cantare in una lingua che non sia il greco sembra una scelta rivoluzionaria. Terry è affascinante, suona da dio, parla, si veste e si comporta in tutto e per tutto come un rocker maledetto alla Keith Richards. Nella Grecia degli anni '70 è praticamente un alieno sbarcato da un altro pianeta. Apparentemente, Terry ha tutto, ma è come se non sapesse cosa farsene. A poco a poco, tutti quelli che suonano con lui fanno carriera, diventano popolari, molto popolari, tanto che oggi suonano in stadi gremiti di fan. Lui no, non ci è riuscito. Ogni volta che il successo sembrava a portata di mano – un'incisione, un tour, un contratto buono – Terry ha rovinato tutto e ora passa le giornate a chiedersi cosa non abbia funzionato nella sua vita. Materiali d'archivio che dipingono una ricca scena musicale a noi del tutto sconosciuta e le interviste con gli amici, le ex amanti e i musicisti che hanno suonato con lui ci aiutano a ricostruire il suo percorso personale e professionale mentre le sue confessioni – vivaci, intrise di humor e penose allo stesso tempo - rivelano storie di trasferimenti continui, di abusi da parte del padre e di un disorientamento che l'ha portato a un vero e proprio blocco esistenziale, alla sua auto-distruzione. Tutto questo viene raccontato in T 4 TROUBLE AND THE SELF ADMIRATION SOCIETY, di Dimitris Athiridis (Grecia, 2009, col., 108'), storia di un'esistenza vissuta all'insegna della mitologia del rock e, come ha scritto Giona Nazzaro su «Rumore», “un ritratto spietato e affettuoso, a tratti insostenibile nella sua brutale frontalità”.



Dimitris Athiridis è nato a Salonicco, in Grecia, nel 1962. Ha abbandonato gli studi di ingegneria meccanica per dedicarsi alla fotografia, lavorando contemporaneamente in ambito teatrale e musicale, ma non a livello professionistico. Athiridis ha lavorato per vent'anni come direttore della fotografia per documentari e spot televisivi. Il documentario T 4 Trouble and the Self Admiration Society è il suo esordio alla regia.


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sabato 23 gennaio 2010

STILJAGI: A RITMO DI SWING

Alle 22.30 al Teatro Miela, evento speciale della sezione Muri del suono: STILJAGI (Hipsters/Scarpette russe) di Valerij Todorovskij. È il 1955. Stalin è morto da due anni, ma nemmeno il disgelo di Kruscev può evitare che le squadre del Komsomol, l'organizzazione giovanile del Partito Comunista dell'Unione Sovietica perseguitino gli amanti dei ritmi jazz e della moda americana. Lo studente Mels (il cui nome è l'acronimo di Marx-Engels-Lenin-Stalin, nientemeno) si trova coinvolto in uno di questi raid quando si imbatte nella bella Polya, Polly per gli amici. Inizialmente per conquistarla, ma poi con sempre maggior convinzione, si unisce al suo gruppo di stilijagi, giovani moscoviti come lui che forse credono pure nel luminoso futuro promesso loro dallo Stato, ma che per il momento preferiscono passare il proprio tempo libero in un locale che si chiama “Broadway”, un microcosmo catapultato nel cuore della capitale sovietica direttamente dalle strade di New York. Mels (divenuto ora Mel) scopre un mondo nuovo, fatto di vesiti dai colori sgargianti che spiccano tremendamente nel grigiore delle persone “normali”, musica d'oltreoceano e Polly. Cacciato dal partito, si consola con il sassofono, che impara a suonare da virtuoso nel giro di una notte. Si fa nuovi amici, fra cui Fred. Figlio di un diplomatico, uno dei pochi del gruppo a sapere veramente l'inglese e l'unico che riuscirà ad andare veramente nella amata America. Tornerà anche indietro Fred, ma le notizie dalla vera Broadway non saranno così buone...




Primo musical prodotto dopo la caduta della Cortina di Ferro (il regista è figlio d'arte e il padre, il regista Pyotr Todorovskij, girò anch'egli un musical nel 1986, Po glavnoy ulitse s orkestrom), a metà strada fra Grease e West Side Story (probabilmente per la tematica, a qualcuno ha ricordato anche Swing Kids – Giovani ribelli) il film è divertente, gioioso e godibilissimo e contiene un messaggio positivo sulla capacità che ha la musica di sostenere l'affermazione delle persone come invidui dotati di una propria speciale particolarità. Ottimi i numeri musicali, splendide e colorate le coreografie. Un vero piacere per gli occhi e per le orecchie (la colonna sonora contiene classici dell'epoca sovietica rivisitati e pezzi originali), il film è stato presentato e accolto con entusiasmo in diversi festival internazionali, fra cui Toronto e Karlovy Vary, e ha fatto recentemente incetta di premi NIKA in Russia (Miglior Film, Miglior Suono, Miglior Scenografia, Migliori Costumi).
Valerij Todorovskij è regista, sceneggiatore e produttore. Nato a Odessa nel 1962, si è diplomato in sceneggiatura allo VGIK di Mosca nel 1984. Ha scritto la sceneggiatura di 14 film e ottenuto negli anni diversi riconoscimenti a livello internazionale. Ha esordito nella regia nel 1989 con Katafalk, seguito da altri film di successo (fra cui Lyubov nel 1991, Katya Ismailova nel 1994, Lyubovnik nel 2002, Moj svodny brat Frankenshteyn, 2004).



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venerdì 22 gennaio 2010

TFF ENTRA SUBITO NEL VIVO

Alla fine, la macchina del festival si è messa in moto. Ieri sera, alle 20, in un Teatro Miela pieno fino all'uovo (in molti sono rimasti fuori, ma hanno potuto rifarsi con la seconda proiezione delle 22.30, seguitissima come la prima) la nostra direttrice Annamaria Percavassi ha presentato l'edizione del festival. A parte il piccolo lapsus di presentare questa edizione come "ultima" invece che come "nuova" (che ha generato in noi dello staff gesti scaramantici di vario tipo) tutto è andato bene. Annamaria ha parlato, come sempre, con passione del festival e delle sue scelte e ha presentato l'ospitone della serata, il grande regista serbo Goran Paskaljević, felicissimo di trovarsi di fronte a un pubblico accorso in massa per incontrarlo di persona (questa mattina, alle 11.00, all'Urban Hotel design si bissa, con Paskaljevic che incontro stampa e pubblico).
Da oggi si entra nel vivo, anche se il Teatro Mila entrerà a pieno regime solo domani con la proiezione del mattino. Assolutamente da segnalare alcuni appuntamenti. Alle 18, al Miela, parte la sezione "Muri del suono-Walls of Sound", sui documentari musicali. Sullo schermo, Eisenwurzen (Das Musical) di Eva Eckert e Kreuzberg 36, di Angeliki Aristomenopoulou (presente in sala). Il primo è una sorta di blues dell'Eisenwurzen (regione mineraria della Stiria, un Heimat film sui generis, un musical documentario per amici (o detrattori) della musica popolare, ma anche una riflessione sulle possibilità reali che ha la musica popolare di trasmettere in modo corretto la cultura delle comunità che l'hanno prodotta. Proprio per questa sua disamina del rapporto fra territorio e musica, è accostato a Kreuzberg 36, ambientato invece nell'omonimo e famoso quartiere berlinese.
Nel documentario entriamo per un attimo nella vita di una piccola comunità di giovani musicisti che considerano come loro patria Kreuzberg stessa (non la Germania e nemmeno la Turchia). Una quotidianità imbevuta di una tradizione tutta speciale, fatta di vecchi graffiti, di testi nati nei caseggiati popolari, di suoni che prendono vita in studi casalinghi di fortuna e nei concerti che organizzano nelle piazze del quartiere. Una musica che nasce letteralmente dalla strada e che si muove entro i confini di un mondo le cui coordinate sono i graffiti, la break dance, il rap, l'hip hop. L'autrice (presente in sala), Angeliki Aristomenopoulou, è una fotografa e regista specializzata in documentari musicali. Lavora per la Televisione greca dal 2005, per cui dirige una serie di documentari dal titolo “World Music”, una delle serie più seguite nel suo genere, interamente dedicata alla musica e agli artisti di un paese o di una regione del mondo.
Muri del suono continua poi alle 22.30, sempre al Miela, con uno degli eventi della sezione: How the Beatles Rocked the Kremlin, di Leslie Woodhead (anche lui ospite del festival). Viaggio personale, ma anche un ciclo professionale che si chiude, per il regista Leslie Woodhead (pioniere del documentario televisivo inglese), che all'inizio della carriera giornalistica e quasi per caso filmò due minuti della famosa esibizione dei Beatles avvenuta nel 1962 al Cavern Club di Liverpool, di cui si vedono alcuni momenti anche nel film. 25 anni dopo quel primo incontro con i Fab Four, Woodhead cominciò a girare film in Russia e fu così che si accorse di quanto il ricordo e l'eredità dei Beatles, ormai assurti a simbolo di tutto ciò che proveniva da occidente, fossero vivi e presenti nella generazione di quelli che erano stati giovanissimi negli anni '60. Nel 2008, ha deciso di ritornare in Russia per ritrovare, a Mosca ma soprattutto a San Pietroburgo (vera culla della musica rock in URRS), musicisti, fan e persone comuni a suo tempo contagiate dal “virus” beatlesiano e farsi raccontare da loro come questa passione abbia cambiato la loro vita per sempre.



Al Cinema Ariston cominciato l'atteso omaggio a Helena Trestikova (di cui parleremo meglio in un prossimo post) e il concorso documentari, divenuto ormai centrale per il festival e unico spazio festivaliero italiano interamente dedicato alle produzioni documentaristiche dei paesi dell'Europa centro-orientale. Due gli appuntamenti in programma: alle 17 Cooking History di Peter Kerekes e alle 21.30 Holka Ferrari Dino di Jan Nemec, seguito da Rabbit à la Berlin, di Bartek Konopka.



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giovedì 21 gennaio 2010

SI PARTE: LA 21a VOLTA DEL TRIESTE FILM FESTIVAL


Finalmente ci siamo! Mesi di lavoro stanno per diventare realtà, questa sera alle 20.00 al Teatro Miela, apre la ventunesima edizione del Trieste Film Festival. Si comincia subito con un super ospite (e non sarà l'unico di questa edizione): Goran Paskaljevic presenterà al pubblico triestino il suo ultimo film HONEYMOONS. Prima co-produzione serbo-albanese, il film è stato presentato con successo all'ultima Mostra del Cinema di Venezia. La proiezione delle 20.00 (a invito) sarà seguita da una seconda proiezione del film, alle 22.30, questa volta a biglietto. Da domani si entrerà nel vivo del festival. Preparatevi, abbiamo qualcosa come 130 film da mostrarvi! Il programma completo lo trovate sul sito www.triestefilmfestival.it, visibile e scaricabile in forma completa o giorno per giorno. Novità di quest'anno le tramine dei film: se non avete ancora la vostra preziosa copia del programma di sala sul sito trovate tutti i film riassunti in due illuminanti righe!
Ci vediamo questa sera al Miela. Se volete entrare già un po' nello spirito della serata, di seguito il trailer (con sottotili in francese) del film d'apertura:




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lunedì 18 gennaio 2010

IL NASTRO BIANCO VINCE ANCORA

Dopo la Palma d'Oro a Cannes, il premio come Miglior Film Europeo e una lunga serie di riconoscimenti importanti, DAS WEISSE BAND-Il nastro bianco di Michael Haneke vince anche il GOLDEN GLOBE come miglior film straniero! Un vero trionfo per un film che affronta in modo diretto il tema delicato delle radici della violenza e lo fa in un modo esteticamente per nulla "friendly". Dato che i Golden Globe sono spesso un ottimo viatico per gli Oscar, staremo a vedere se Haneke riuscirà a portarsi a casaanche l'ambita statuetta. Noi incrociamo le dita!


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lunedì 11 gennaio 2010

ERIC ROHMER (1920-2010)


Si è spento questa mattina a Parigi, all'età di 89 anni, Eric Rohmer. Il cinema perde così uno dei suoi grandi maestri.

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sabato 9 gennaio 2010

DAVID LYNCH SI BATTE PER ŁÓDŹ

In dicembre abbiamo riportato la notizia, data da Cinecittà News, secondo cui David Lynch aveva annunciato, nel corso del Camerimage Festival, che intende creare uno Studio a Łódź in Polonia, città dove ha sede una delle scuole di cinema più importanti d'Europa (basti pensare che ha sfornato autori come Andrzej Wajda, Krzysztof Kieslowski e Roman Polanski, solo per citarne alcuni). In realtà, il rapporto di Lynch con la città è iniziato nel 2000, quando vi girò buona parte del suo Inland Empire. Nel 2006, l'idea di creare una fondazione insieme al direttore del Camerimage, Marek Zydowicz, e ad Andrzej Walczak (co-proprietario di una delle principali holding immobiliari polacche) per trovare i fondi necessari a restaurare un complesso di edifici dismessi per farlo diventare un polo produttivo all'avanguardia. Il progetto prevede sale di missaggio, post-produzione e registrazione capaci di ospitare un'intera orchestra sinfonica e strutture per la post-produzione e il montaggio del suono. Nell'ambito del progetto di riqualificazione del centro città, si è poi aggiunto un polo culturale di grandi dimensioni (progettato dall'archistar Frank Gehry, i cui genitori sono originari della stessa Łódź e presentato sempre a dicembre nel corso del festival), dove dovrebbero trovare posto gli uffici del Camerimage, quattro sale cinematografiche, due auditorium per concerti (uno grande e uno piccolo), oltre a un ampio spazio scoperto. Com'è facile capire, una meravigliosa occasione per la città di rilanciare il proprio paesaggio urbano. Oltretutto, questo sarebbe il primo edificio pubblico di Gehry in Polonia. Sembrava che tutto stesse procedendo bene: dopo lo stanziamento di cui sopra, l'ingresso nella cordata di sostenitori anche del direttore della fotografia premio Oscar Vittorio Storaro, il consiglio comunale aveva approvato il progetto di Gehry. Ora, pare che lo stesso consiglio stia ritirando il proprio appoggio all'iniziativa. Lo stesso David Lynch, che segue gli amici polacchi di Camerimage e cerca di dare la massima visibilità alla loro iniziativa, ha indirizzato al consiglio comunale un accorato appello, che recita così: "Cari consiglieri, vi scongiuro di non lasciarvi sfuggire l'occasione di far crescere la vostra città. Vi supplico, fate qualunque cosa in vostro potere affinché i vostri figli e i vostri nipoti siano orgogliosi di vivere in una delle città più interessanti d'Europa. Non trascurate l'enorme potenziale contenuto in progetti di questo tipo. Non c'è infatti alcun dubbio che progetti simili attirino folle di visitatori da ogni dove, siano essi artisti, imprenditori o turisti.” Nelle ultime ore, Lynch sta postando su Twitter una serie di appelli e di aggiornamenti sull'evolversi della situazione. Pare che si stia svolgendo un sit-in nel palazzo del Comune per convincere il consiglio a rivotare e a ritornare sulle proprie decisioni. Speriamo che gli amici polacchi riescano a trovare un punto di incontro con gli amministratori locali, che come spesso accade sono – per miopia politica o incapacità personale – insensibili e sordi al potenziale economico e sociale contenuto nelle iniziative a sfondo culturale. Anche quelle di livello internazionale come quella di Łódź. Purtroppo, è difficile trovare notizie aggiornate in tempo reale sulla rete che non siano in polacco.
(nella foto a destra, David Lynch, Frank Gehry e Marek Zydowicz.

Intanto, vi consiglio di seguire Lynch su Twitter: http://twitter.com/DAVID_LYNCH
QUI, Frank Gehry parla del progetto
QUI, invece, si spiega meglio la questione economica (traduzione dal polacco all'inglese di Google)


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mercoledì 6 gennaio 2010

FINALMENTE FANNY!

Quiz per cinefili: cos'hanno in comune film tanto diversi come Finalmente domenica di Truffaut, 8 donne e un mistero di Ozon, La famiglia di Scola, Callas Forever di Zeffirelli (oltre all'evidente fatto di essere stati diretti da grandi registi e aver segnato in modi diversi la storia del cinema e del costume)? Tutti sono stati interpretati da una delle attrici più affascinanti e indimenticabili della seconda metà del ventesimo secolo: la musa del cinema francese e mito vivente Fanny Ardant! Potrete quindi immaginare la nostra emozione quando abbiamo avuto la conferma che “Fanny” (come la chiamiamo ormai fra noi negli uffici) sarà ospite del Trieste Film Festival, protagonista di un evento eccezionale ovvero il suo esordio alla regia. Presentato a Cannes lo scorso maggio, dove l'autrice è stata omaggiata con una proiezione speciale, il film si intitola Cendres et sang. Perché abbiamo scelto di presentarlo (addirittura come evento speciale di chiusura del festival)? La vicenda è, in realtà, molto legata ai paesi di cui si occupa da vent'anni il festival perché inizia in Francia, dove la protagonista vive, ma racconta anche il suo ritorno a casa, in quella Romania che il nostro pubblico ha imparato a conoscere al di là degli stereotipi e delle convinzioni limitanti anche – e di questo andiamo fieri – grazie ai film che abbiamo scelto di inserire nei nostri programmi con frequenza sempre maggiore negli ultimi anni. La storia è quella di Julia, che da anni vive a Marsiglia con i tre figli, dove si è trasferita dopo la morte del marito, avvenuta quasi dieci anni prima. Dopo anni trascorsi nel rifiuto di rivedere la propria famiglia e tornare nel proprio paese, cede ai loro desideri e accetta un invito al matrimonio di un loro cugino. I quattro partono per trascorrere l'intera estate in Romania, alla riscoperta delle proprie origini e del passato. Il ritorno della donna riaccende però vecchi odi fra clan rivali. La spirale di violenza si mette in moto in modo inesorabile e a parlare sarà il sangue. Una storia forte, quindi (ispirata dal libro dello scrittore albanese Ismaïl Kadaré), che la Ardant ha voluto fin da subito trasferire su pellicola, tanto da scrivere lei stessa anche la sceneggiatura. Al progetto si è appassionato immediatamente Paulo Branco (già produttore, fra gl altri, di De Oliveira, Wenders, Ruiz), il quale si è unito all'avventura, così come hanno fatto tanti amici della Ardant, Gérard Depardieu in primis, aiutandola a reperire i fondi necessari a realizzare il film. Il film, che si avvale della splendida fotografia di Gérard de Battista e della presenza di ottimi attori (Ronit Elkabetz, una delle più note attrici israeliane, tanto per dirne una) tocca temi complessi, come quello della violenza. Proprio a questo proposito, l'autrice ha dichiarato: “Tutto quello che perdiamo o conquistiamo è spesso il risultato di una violenza, anche di una violenza subita. Sopportiamo cicatrici di ogni genere, risultati di quello che abbiamo accettato. Nel raccontare la storia di questa famiglia, volevo parlare dei segni lasciati dalla violenza, dalla sopraffazione, dall'autorità della legge e dall'umiliazione...”

Il film verrà presentato il 28 gennaio al Cinema Ariston, dove la Ardant incontrerà il pubblico in sala prima dell'inizio della proiezione e dopo la premiazione della 21 edizione del festival. Chissà se ci svelerà i suoi progetti futuri, magari per un altro film come regista...
Comunque sia, non vediamo l'ora! Siete tutti invitati!

www.triestefilmfestival.it
infoline: 040 3476076

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