giovedì 29 ottobre 2009

TRACCE DI MURO: IL 38° PARALLELO

Per il suo prossimo appuntamento, la rassegna TRACCE DI MURO si sposta in CAVò, il video-rifugio di Alpe Adria Cinema. Il prossimo mercoledì, 4 novembre, una serata particolare, tutta dedicata alla Corea, dove la barriera che separa nord e sud segue un confine geografico astratto, il 38° parallelo, tracciato all’inizio degli anni ‘50.
Si comincia alle 19.00 con
Grandmother's Flower
(Il fiore della nonna) di Jeong-hyun Mun, Corea del Sud, 2007, col., 89' (v.o. coreana, sott. inglesi).
Il documentario, presentato l'anno scorso al festival di Berlino, è un viaggio nella storia di una famiglia e di un popolo. Dopo la morte della nonna materna, avvenuta nel 2001, il regista scopre una serie di diari e di documenti che raccontano la complicata storia famigliare della donna. Comincia a ricostruirne le vicissitudini, scoprendo per esempio che la malattia mentale e la paranoia dello zio (uomo di cui aveva sempre avuto paura) erano state causate dallo shock subito dall'arresto e dalle torture subito dal fratello, il nonno del regista. Viene così lentamente a galla la storia di questa famiglia sud-coreana, perseguitata dalle autorità per le sue attività di resistenza al governo e per la vicinanza alla politica nord-coreana.
La storia della nonna, donna forte e combattiva che ha saputo sopravvivere a grandi lutti e alla perdita di una famiglia intera per motivi politici, diventa così la storia di un intero paese, del suo recente passato politico tumultuoso e violento e dei molti problemi ancora irrisolti.
Il film ha vinto il premio come Miglior documentario al festival internazionale di Pusan. (leggi la recensione su Variety di Derek Elley, in inglese)



Mun Jeong-hyun è nato a Kwang-ju (in Corea) nel 1976. Dopo gli studi di architettura e cinema, ha realizzato nel 2003 il suo primo documentario, Back to My Hometown. GRANDMOTHER’S FLOWER è il suo quarto lavoro.

Alle 21.00, rimaniamo in Corea con il film di un grande autore, Park Chan-wook:
J.S.A. - Joint Security Area (Area Comune di Sicurezza), Corea del Sud, 2000, col., 110', con (v.o. coreana, sott. inglesi).
Non c'è nulla di più simbolico della divisione delle due Coree del ‘Ponte del non ritorno’ di Panmunjom, zona demilitarizzata al confine fra i due stati. Un giorno, una guardia di confine viene uccisa da un colpo di fucile. I sospetti si concentrano su un soldato sud-coreano, che viene ritrovato ferito nel bel mezzo della “terra di nessuno”. L'incidente avrà delle gravi ripercussioni perché entrambi i paesi considerano l'incidente come un atto di provocazione voluta. Il Nord accusa il Sud di aver commesso un “attacco terroristico” mentre il Sud sospetta che il Nord abbia tentato un rapimento. Si appellano così all'autorità degli stati neutrali (NNSC) in cerca di aiuto e chiedono a loro di investigare sul caso. Viene incaricata di svolgere le indagini il capitano Sophie E. Jean, una coreana che ha studiato Legge a Ginevra e che attualmente presta servizio nell'esercito svizzero. Fin da subito, Sophie si trova davanti a un mucchio di ostacoli perché i due paesi si rifiutano di cooperare con lei in alcun modo. Solo dopo aver superato queste resistenze da parte delle autorità dei due stati, il capitano riesce a incontrare i due principali testimoni, l'ufficiale semplice Lee Soo-Hyuk e il sergente nord-coreano Oh Kyung-Pil. Quando Sophie E. Jean li interroga, però, i due forniscono un resoconto del tutto discordante dell'accaduto. La questione si fa sempre più misteriosa e ingarbugliata, soprattutto dopo che il testimone che è accorso per primo sul luogo dell'incidente, un soldato di nome Nam Sung-Shik, cerca di suicidarsi subito dopo aver rilasciato la propria dichiarazione...
Presentato a Berlino e al Far East del 2001, campione assoluto di incassi in Corea, il film nasce come adattamento per il grande schermo del romanzo DMZ di Park Sang-yun.
Park Chan-wook (nato nel 1963 a Seoul, nella Corea del Sud) è approdato al cinema dopo gli studi in filosofia. È arrivato alla notorietà internazionale proprio con JSA – Joint Security Area (Gongdong kyeongbi gooyeok JSA, 2000), uno dei primi film a lanciare uno sguardo inedito, libero da schematismi, sul problema della divisione fra le due Coree. Da quel momento è stato un susseguirsi di successi, fra cui spicca l'incredibile “trilogia della vendetta”: Sympathy for Mr. Vengeance (Boksuneun naui geot, 2002), Old Boy (Oldeuboi, 2003), e Sympathy for Lady Vengeance (Chinjeolhan Geumjassi, 2005). Old Boy ha vinto il Gran premio della Giuria a Cannes. Nel 2006 è stata la volta di I’m a Cyborg, But That’s OK (Ssaibogeujiman kwaenchanha, 2006). Quest'anno, a Cannes, ha presentato Thirst (Bakjwi), Premio della Giuria in cui ritorna il Song Kang-ho di JSA.

Ricordiamo che l'accesso alle proiezioni di Cavò è gratuito e RISERVATO ai soci di Alpe Adria Cinema. Per info su come si diventa soci: news@alpeadriacinema.it

Il programma completo di TRACCE DI MURO è consultabile e scaricabile dal sito di Alpe Adria Cinema


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mercoledì 28 ottobre 2009

LA CALMA DEL PIÙ FORTE

In occasione dell'uscita dell'ultimo libro dello scrittore "triestino" Veit Heinichen, La calma del più forte (E/O edizioni), Libreria Minerva, La Cappella Underground, Bonawentura/Teatro Miela e Alpe Adria Cinema, con il patrocinio di FVG Film Commission organizzano al Teatro Miela un incontro speciale.
Martedì 3 novembre, alle 18.30 Massimo Carlotto presenterà in anteprima nazionale La calma del più forte, dialogando con l'autore.
Alle 17.00 e alle 20.30 verranno proposti i primi due episodi della serie realizzata dalla televisione tedesca e tratta dai romanzi di Heinichen con protagonista il Commissario Laurenti, presentati per la prima volta in Italia nell'ambito della 18° edizione del Trieste Film Festival del 2007.

Tutti gli eventi sono ad ingresso libero.

Il libro
Una tersa mattina di dicembre, durante una gita in bicicletta sul Carso, l’ispettrice di polizia Cardareto viene aggredita da un cane da combattimento, che scompare improvvisamente nel nulla. Qualche giorno dopo, il commissario Laurenti si ritrova involontariamente sulla scena di un delitto: Marzio Manfredi, un imbalsamatore di animali che vive accampato in un rifugio di fortuna sul Carso, viene ritrovato morto, strangolato da un cappio di metallo. I due eventi, apparentemente scollegati, sembrano però condurre a una pista comune: Goran Newman, misterioso uomo d’affari che opera nel campo della speculazione finanziaria con enormi traffici di denaro di dubbia provenienza, sembra essere il bersaglio di un attentato organizzato dal gruppo irredentista "Istria liberta, Dalmazia nostra", che vede coinvolto anche il defunto Manfredi e altri soci implicati in giri poco puliti – tra cui l’organizzazione di incontri clandestini tra cani da combattimento.
In un romanzo di scottante attualità, Veit Heinichen spalanca i retroscena della crisi economica mondiale in corso, addentrandosi nei labirinti della mafia dell’alta finanza, tra politici corrotti, affaristi senza scrupoli, speculazione edilizia, bolle finanziarie e mutui Subprime.

Programma completo

ore 17.00 proiezione di
Commissario Laurenti. I morti del Carso di Sigi Rothemund (Germania, 2006, 90', versione originale sottotitolata in italiano)
Trieste è battuta da una gelida Bora nera che ben si confà all’umore del commissario Proteo Laurenti, impantanato nel bel mezzo di una crisi coniugale. Il panorama è ulteriormente oscurato da una serie di delitti. Una casa sul Carso esplode nella notte con tutti i suoi abitanti. Un pescatore perde la vita in mare e il proprietario del peschereccio viene ritrovato giustiziato in modo misterioso non lontano dalla Foiba di Basovizza. Contrapposti desideri di vendetta governano i sentimenti di Nicoletta Marasi e del vecchio Gubian. Per Proteo, una schiarita sembra arrivare con Živa Ravno, magistrata croata, che fornirà un aiuto importante alla soluzione d’una catena di omicidi provocati da cupidigia, ritorsione e amore non corrisposto.

ore 18.30 Veit Heinichen incontra il pubblico in una conversazione con Massimo Carlotto e presenta La calma del più forte

ore 20.30 proiezione di
Commissario Laurenti. A ciascuno la sua morte di Sigi Rothemund (Germania, 2006, 90', versione originale sottotitolata in italiano)
Un lussuoso motoscafo si arena di fronte alla costiera triestina. Il proprietario, Bruno de Kopfersberg, imprenditore austriaco residente a Trieste, è scomparso. Anni prima il commissario di polizia Proteo Laurenti lo aveva accusato della morte della moglie, ma non era riuscito a farlo condannare. Ora Laurenti dovrà scoprire cosa si nasconde dietro alla sua scomparsa e incontrerà nel socio di de Kopfersberg, Viktor Drakić, il suo peggior nemico. Altre morti complicheranno l’estate caldissima di Laurenti e della sua vivace famiglia. Una moglie inquieta, una figlia in lizza per Miss Trieste e un figlio troppo spesso ospite della questura non riusciranno però a distrarlo abbastanza per non scoprire un traffico internazionale di prostituzione e tangenti.


Veit Heinichen
“Nato nel 1957 in una cittadina agli estremi confini sud occidentali della Rft, non lontano dalle fonti del Danubio, Veit Heinichen ama definirsi “un figlio delle frontiere” e la sua vocazione al superamento dei confini ha certamente influenzato anche la sua biografia. Terminati gli studi di Economia, ha lavorato nella direzione della Daimler Benz, per diventare poi libraio e intraprendere successivamente la carriera di editore prima a Zurigo e a Francoforte, e poi a Berlino, dove nel 1994 ha fondato la Berlin Verlag che ha diretto fino al 1999. Alla scrittura si dedica fin dagli anni ’70. Il rapporto con Trieste è iniziato in un freddo gennaio del 1980. Nel corso degli anni l’attrazione esercitata dalla città è stata così forte da spingerlo a tornare più volte, fino a quando ne ha fatto il suo luogo di residenza. Oggi vive sulla costiera, in una vecchia casa nascosta dal verde, a metà strada tra i castelli di Miramare e di Duino.
Claudio Magris ha scritto che “Veit Heinichen ha tutti i requisiti per essere considerato uno scrittore triestino, forse più di chi è nato e cresciuto nella città e ne condivide quindi meno l’anima plurima e randagia”. “Trieste è una città alla quale è impossibile attribuire una singola identità, – ricorda il giallista – perché è il prodotto di una serie di complementarietà e di opposizioni. Ovvero: ciò che non è più, e ciò che potrebbe – nuovamente – essere, se solo lo volesse.” Questa visione dello “stato delle cose” lo ha spinto a prendere anche chiare posizioni politiche e a dare il suo personale contributo alla creazione di progetti per il futuro della città. Nei suoi romanzi non troviamo infatti traccia della solita rappresentazione della Trieste asburgica, del porto imperial-regio e dello splendore di tempi che non torneran-no più. Heinichen è calato nel nostro presente, un presente marchiato dalla corruzione internazionale, da nuove forme di schiavitù, dal traffico di armi, droga, esseri umani e di organi, dalla collusione tra servizi segreti e criminalità organizzata. (…) In questo La Trieste descritta in questi romanzi non è solo quella della corruzione e del crimine, è fatta anche di sapori e di odori che si manifestano al lettore nella descrizioni di pranzi e spuntini, di cene e grigliate, nei ristoranti, bar e buffet più amati dallo scrittore. Non a caso anche il commissario Proteo Laurenti è un gourmet e spesso alla scelta di un buon ristorante dedica più attenzione che non a un problema di lavoro. Nei romanzi di Veit Heinichen, Trieste è riprodotta a dimensioni reali” (estratto dell'introduzione scritta da Elisabetta D'Erme per il catalogo del 18° TFF)


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martedì 27 ottobre 2009

PERCHÉ È UNA QUESTIONE DI SUPPORTO!!!

Le varie declinazioni del SUPPORTO: è attorno ad esse che ruota il senso della rassegna cinematografica, organizzata dagli amici di Makin’Go di Gorizia con il contributo dell’Erdisu, che vede oggi 27 ottobre il suo battesimo, con la proiezione alle 15.00 nella sala 2 del Kinemax Gorizia di Viale del tramonto di Billy Wilder.
Il ciclo di film, che vivrà di 12 appuntamenti da qui a metà dicembre, chiama in causa il termine supporto in 3 diverse accezioni. Supporto alla didattica, giacché la rassegna – il cui programma è stato stilato di concerto con i docenti del Dams Cinema – è pensata come integrazione ai corsi della facoltà (in particolare quelli di “Sceneggiatura” ed “Analisi del film”) ed è specificamente dedicata ad un pubblico di studenti. Supporto come oggetto fisico: peculiarità dell’iniziativa sarà infatti la proposta di opere rigorosamente in pellicola, ciò che permetterà agli spettatori di godere della visione di classici della settima arte secondo la prassi tradizionale della fruizione in sala. Supporto, infine, inteso come sostegno per una buona causa: tutte le copie provengono infatti dalla cineteca “La lanterna magica” de L’Aquila, a significare l’intenzione da parte di Makin’Go di privilegiare un soggetto che, come ogni realtà di quel territorio, è stato duramente colpito dal sisma dello scorso aprile.
Entrando nel dettaglio dei titoli, ecco di seguito il calendario completo delle proiezioni presso il Kinemax Gorizia (inizio alle ore 15.00, ad eccezione del film del 15 dicembre):

27/10: Viale del tramonto di B. Wilder (USA 1950, 110’) 16mm
28/10: Hiroshima mon amour di A. Resnais (Francia 1959, 91’) 16mm
03/11: Otto e mezzo di F. Fellini (Italia 1963, 138’) 35mm
04/11: Effetto notte di F. Truffaut (Francia 1967, 115’) 16mm
10/11: Piccolo Cesare di M. LeRoy (USA 1931, 80’) 16mm
11/11: La città nuda di J. Dassin (USA 1948, 96’) 35mm
17/11: Nemico pubblico di W.A. Wellman (USA 1931, 83’) 16mm
18/11: Paisà di R. Rossellini (Italia 1947, 126’) 16mm
24/11: L’angelo sterminatore di L. Buñuel (Messico 1962, 95’) 35mm
01/12: Due o tre cose che so di lei di J.L: Godard (Francia 1967, 95’) 35mm
15/12: I soliti ignoti di M. Monicelli (Italia 1958, 111’) 16mm

Chiusura, infine, con un evento speciale aperto a tutti e ad ingresso libero:

15/12, ore 24: Brian di Nazareth di T. Jones (GB 1979, 93’) 35mm

Info: http://www.makingo.org


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domenica 25 ottobre 2009

PAROLE (E DISEGNI) PER ABBATTERE I MURI

Alle ore 16.00, presso la Biblioteca Statale di largo Papa Giovanni XXIII a Trieste inaugura domani la mostra delle illustrazioni di Henning Wagenbreth, meraviglioso corredo visivo al libro 1989 - Dieci storie per attraversare tutti i muri (Antologia per giovani lettori sul Muro), che viene anche presentato domani.
La penna di dieci grandi scrittori e la matita di Henning Wagenbreth, grande illustratore dell'avanguardia tedesca, per un ideale, enorme graffito contro l´intolleranza. Per dieci racconti, ricchi di fantasia e colorate suggestioni, contro il tetro grigiore dei muri. Berlino.Israele-Cisgiordania. Stati Uniti-Messico. Corea del Nord-Corea del Sud. Cipro greca-Cipro turca. Spagna-Marocco. Arabia Saudita-Yemen. India-Pakistan. Thailandia-Malesia. Botswana-Zimbawe. Belfast. Bagdad. Hoek Van Holland. Padova: muri famosi e quasi sconosciuti, grandi e piccoli. A guardarli, sembrano costruiti con mattoni, filo spinato, blocchi di cemento, corrente elettrica, sensori agli infrarossi. Tutti sono tenuti in piedi da un unico, misero impasto: diffidenza, egoismo, paura, odio che separano gli uomini per il colore della pelle, la religione, la cultura, la ricchezza. Pubblicato in altri cinque Paesi europei (Francia, Germania, Polonia, Russia e Spagna), il libro è stato ideato ed è nato in Italia grazi alle edizioni Orecchio Acerbo con la collaborazione del Goethe-Institut Italien. Per l'Italia il racconto è un inedito di Andrea Camilleri. Gli altri autori sono: Ingo Schulze, Didier Daeninckx, Ljudmila Petrusevskaja, Elia Barceló, Heinrich Böll, Max Frisch, Jirí Kratochvil, Olga Tokarczuk e Miklós Vámos.
Interverranno il dott. Marco Menato, Direttore vicario della Biblioteca Statale di Trieste eil dott. Patrick Karlsen dell'Università degli Studi di Trieste, Dipartimento di Storia e Storia dell'Art.

La mostra sarà visitabile fino al 14 novembre, con i seguenti orari: lun-ven ore 8:30-18:30 / sab ore 8:30-13:30.
Info: www.goethe.de/trieste, info@triest.goethe.org, tel. 040 635763.

Sito dell'editore: http://www.orecchioacerbo.com/ (dove è possibile leggere i profili di tutti gli autori)
Sito di Henning Wagenbreth: http://www.wagenbreth.de/


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giovedì 22 ottobre 2009

TRACCE DI MURO: I NUOVI MURI

Il secondo film che presentiamo lunedì 26 ottobre per TRACCE DI MURO è Mur (Il muro) di Simone Bitton, Francia-Israele, 2004, col., 96' (v. italiana)
Intenso e doloroso, il documentario della Bitton è incentrato sulla lunga barriera eretta dal governo Sharon con l'intento di impedire gli attentati terroristici: una riflessione cinematografica sul conflitto israeliano-palestinese in cui la regista sfuma i confini dell'odio affermando la sua doppia identità di ebrea e di araba. Nel cantiere del muro che imprigiona un popolo e ne cinge un altro, parole quotidiane e canti sacri, in ebraico e in arabo, sfidano i discorsi della guerra, oltrepassando il rumore assordante dei bulldozer. Presentato alla Quinzaine des Realisateurs, il film ha vinto il Premio Speciale della Giuria al Sundance, il Gran Premio al Festival internazionale del documentario di Marsiglia e il Premio Pesaro Nuovo Cinema.
Simone Bitton è nata nel 1955 in Marocco. Nel '66 si è trasferita in Israele e ha prestato servizio militare nella la Guerra del Kippur; si è poi trasferita a Parigi e nel 1981 si è diplomata presso la scuola di cinema IDHEC. Parla perfettamente l’ebraico, l’arabo e il francese. Attualmente vive tra Gerusalemme e Parigi. Ha diretto più di 15 documentari. Il suo lavoro varia dall’inchiesta storica al reportage in prima persona e il ritratto intimo di autori borderline, artisti e politici. Tutti i suoi film dimostrano un profondo impegno personale e professionale nel rappresentare le culture e la complessa storia del Medioriente e dei Paesi Nord Africani. Nel 2004 ha vinto il Premio “Pesaro Nuovo Cinema” con il documentario Mur. Fra i suoi lavori Citizen Bishara (2001), Ben Barka, L'Èquation marocaine (2001), L'Attentat (1998) Mahmoud Darwich: et la terre, comme la langue (1997), Palestine, histoire d'une terre (1993) Il nuovo film, Rachel, è stato presentato alla Berlinale nella sezione “Forum”. (fonte della bio-filmo: Catalogo ufficiale della Mostra del nuovo cinema di Pesaro).
A proposito di Mur, ha dichiarato: “Gli spettatori non sono delle pagine bianche, sanno un sacco di cose su questo paese, su questa guerra. Hanno le loro opinioni, talvolta forse troppo nette, altre volte del genere che non condivido. Non ho realizzato questo film per convincere questo genere di persone o per discutere con loro. Volevo solo condividere le mie sensazioni, quello che ho nel cuore. Volevo mostrare loro quello che io vedo e,allo stesso tempo, mostrarmi a loro. Il muro che ho filmato è parte di me almeno quanto lo è dell'orizzonte mentale e fisico delle persone che compaiono nel film. In un certo senso, questo muro è il segno del nostro fallimento. Mur è un film politico in quanto tutto è politico, ma non parla di politica. Parla di me, di noi. Al di là della tragedia che colpisce il Medio Oriente, l'ho voluto fare per ricordare quello che avviene altrove nel mondo fra ricchi e poveri, potenti e deboli, democratici e chi democratico non è, fra quelli che hanno tutto e quelli che non hanno nulla. Ovunque, i deboli vogliono oltrepassare i muri che sono stati eretti per tenerli a distanza e ovunque i potenti temono moltissimo di ritrovarsi al posto dei deboli, come se la felicità di qualcuno si potesse realizzare solo a costo di privazioni e confinamenti di altre persone. Capita talvolta che i potenti siano così spaventati dai deboli che farebbero qualunque cosa che giustifichi le loro paure e trasformi i deboli in una minaccia reale. La pace arriverà. Come sempre. Ma per ora, quella che ci aspetta è un'epoca di muri e sento che sarà terribile.”

Sito inglese del film: http://www.wallthemovie.com/

Lunedì 26 ottobre Cinema Ariston - Trieste
ore 20.30

Il programma completo di TRACCE DI MURO è consultabile e scaricabile dal sito di Alpe Adria Cinema.


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TRACCE DI MURO: OLTRE BERLINO

Dopo la doppia proiezione di lunedì scorso al Cinema Ariston, che ci ha consentito di rivedere un film bellissimo come Good Bye, Lenin! e l'interessantissimo documentario sulla propaganda nella DDR Kinder, Kader, Kommandeure (leggi il post dedicato), mercoledì c'è stata l'affollatissima presentazione dell'ultimo libro di Gian Enrico Rusconi, Berlino: la reinvenzione della Germania. Entrambi gli appuntamenti hanno richiamato un pubblico interessato e informato. Possiamo dire che proiezioni e presentazione del libro fossero legate da un filo rosso: se da una parte, infatti i film ci hanno mostrato con grande chiarezza quanto sia importante - e attuale - ricordare quanto siano potenti le immagini e come sia facile, attraverso di esse, creare una realtà che di fatto non esiste, il saggio di Rusconi affronta - fra gli altri - il "problema" della memoria.
Dopo questo inizio dedicato doverosamente a Berlino, che ci ha aiutato a riannodare le fila di quella che potremmo definire una rassegna “diffusa”, dal momento che ci sta accompagnando ormai da gennaio e che avrà delle code anche nella prossima edizione del Trieste Film Festival, con i prossimi appuntamenti entriamo nel vivo della parte autunnale della rassegna. Un percorso ulteriore che parte da Berlino per condurci in un viaggio alla scoperta di altri muri: da quello eretto di recente da Israele (nel pluripremiato film di Simone Bitton, Il muro), al confine che divide le due Coree, sorto prima di quello di Berlino e che ancora non dà segni di cedimento (nel programma del 4 novembre in Cavò), fino in Marocco, passando per un'Europa in cui, a vent'anni dalla caduta del Muro, esistono ancora moltissime divisioni sociali e i muri sono quelli dell'esclusione dei cittadini non comunitari (Da un muro all’altro – Da Berlino a Ceuta). Lunedì 26 presentiamo due documentari molto interessanti. Cominciamo col parlare del primo:

Da un muro all’altro – Da Berlino a Ceuta (tit. or. D’un mur l’autre – de Berlin à Ceuta) è un film belga dell'anno scorso che è stato presentato a Cividale lo scorso luglio nell'ambito di Mittelimmagini, rassegna di cinema documentario che arricchisce il programma del Mittelfest e la cui edizione di quest'anno si intitolava - appunto - "Muri".
"Nessuno lascia volentieri il proprio paese” dice Antonio, seduto nella sua poltrona. Anni fa, è partito dalla Sardegna alla volta del Belgio, dove si è letteralmente sepolto vivo in una miniera di carbone. Al paese che l'ha accolto e di cui parla con rispetto ha dato otto figli, “otto buoni belgi”, come gli piace ripetere. Jean, di persone così ne ha incontrate tante nel suo vagabondare per l'Europa, incontri eccezionali, scambi autentici con persone che gli raccontano col groppo in gola perché sono emigrate. Parlano delle famiglie, delle case, degli amici che hanno lasciato per venirsene in Francia, in Germania, in Spagna, in Belgio. Videocamera in spalla, il regista inizia il suo viaggio a Berlino, davanti ai resti del Muro, e finisce a Ceuta davanti a un altro muro di filo spinato, dove tuttora gli immigrati clandestini trovano la morte. Il viaggio procede su treno, nave o automobile, ed è accompagnato dalla colonna sonora di Tom McClung, pianista jazz americano. I brani sottolineano, senza ridicolizzarle, le storie (a tratti molto crude) dei protagonisti e la nostalgia che provano quando evocano la loro vita passata o raccontano di quella attuale. Dal muro di Berlino all’enclave di Ceuta in terra africana, questo road movie attraversa l’Europa, oltrepassando quattro frontiere ma con un unico centro, in cui prende vita una società meticcia, multiculturale, ricca nelle sue diversità nonostante le tradizioni vengano spesso rinnegate. Uno sguardo ottimista e fuori dal comune sull’Europa e la sua immigrazione. Da un muro all'altro è stato presentato anche a Visions du Réel, il festival internazionale del documentario di Nyon.
L'autore, Patric Jean, è nato nel 1968 in Belgio. Ha studiato teatro, letteratura e cinema all'INSAS di Bruxelles. Vive fra Parigi e il Belgio. Dopo i primi cortometraggi nel 2000 ha girato il documentario Les enfants du Borinage - lettre è Henri Storck, una videolettera che Jean invia a Henri Storck per mostrargli come dal 1933, anno in cui Storck girò insieme a Joris Ivens Misère au Borinage, nulla sia cambiato per la gente che abita quell'area. Documento d'accusa contro il partito socialista che governava il sud del paese, in cui il Borinage si trova, il film ha scatenato una vera e propria bufera politica in Belgio. Il suo secondo film, Traces, è stato una docufiction su un pittore, Mahieu. Nel 2003, Jean ha diretto Might Is Right, trasmesso dalle televisioni di 15 paesi. Dopo D'un mur l'autre, ha girato Masculine dominance, un documentario a tema femminista, che esce in questi giorni. Jean sta lavorando a un film e a una serie di documentari.

Sito ufficiale del film: http://www.dunmurlautre.net

Lunedì 26 ottobre Cinema Ariston - Trieste
ore 18.30

Il programma completo di TRACCE DI MURO è consultabile e scaricabile dal sito di Alpe Adria Cinema.


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mercoledì 21 ottobre 2009

RACCONTO FIGURATO

Oggi, alle 18.00, a


in questo luogo

questo signore


presenterà il suo nuovo libro


a presentarlo al pubblico triestino


L'incontro si svolge nell'ambito di


Il che, tradotto, significa questo:
Mercoledì 21 ottobre, Libreria Minerva di trieste
ore 18.00
Gian Enrico Rusconi presenta il suo libro Berlino: la reinvenzione della Germania (Laterza 2009). In conversazione con lui la giornalista Elisabetta D'Erme.

Di questo libro abbiamo già parlato QUI
Programma completo della rassegna: www.alpeadriacinema.it

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martedì 20 ottobre 2009

DA BERLINO ALLA CITTA' DEGLI ANGELI

Una porzione del Muro di Berlino è stata trasportata a Los Angeles per le celebrazioni del ventesimo anniversario della caduta del Muro. I dieci pannelli sono stati pitturati dall'artista francese Thierry Noir, il primo a disegnare murales sul Muro nel 1984. La sezione del Muro sarà la più grande del Muro al di fuori della Germania.

“All'inizio degli anni '80, le persone cominciarono a scrivere i propri nomi, poi parole o frasi intere (soprattutto slogan di natura politica) e poi si arrivò ai dipinti. In luoghi storici come Potsdamerplatz, Checkpoint Charlie, Brandenburger Tor e a Kreuzberg, quei graffiti trasformarono il Muro di Berlino in un'attrazione turistica. Questa era una cosa del tutto nuova perché prima di allora nessuno voleva vedere il Muro e nemmeno comprare comprare cartoline o souvenir che lo ritraevano. A partire dall'aprile del 1984, Thierry Noir e Christophe Bouchet cominciarono a ricoprire il Muro (3 metri d'altezza, dalla cima alla base) di colori sgargianti, cercando di farlo nel più breve tempo possibile. Noir e Bouchet, 2 giovani francesi che aveva vissuto 2 anni vicino al Muro, sentivano di dover fare qualcosa per questa costruzione noiosa. La loro era una sorta di reazione fisica alla pressione della vita quotidiana come la si viveva nei presi del Muro. Il retro della loro abitazione a Mariannenplatz, la prima ad essere occupata il 4 dicembre del 1971, si trovava solo a 5 metri dal Muro. La chiamavano la casa "Georg von Rauch", in onore del dimostrante ucciso dalla polizia quel giorno. Il comune legalizzò l'abitazione solo nel 1978, dopo anni di dura lotta, e questa diventò un centro di ritrovo per i giovani, dove era possibile vivere, lavorare, suonare e dipingere. Tre metri oltre il confine ufficiale c'era il Muro per cui era consentito ai soldati della Germania est arrestare chiunque si aggirasse nei pressi del Muro. Dipingerlo era assolutamente proibito, per cui i pittori dovevano essere svelti, un occhio al lavoro e l'altro a sorvegliare i soldati. La cosa importante era non farlo da soli, in aree isolate o vicino alle piccole porte di cemento che si aprivano nei segmenti prefabbricati. Lì, era pericoloso dipingere il Muro. Fin da subito, quando Thierry Noir e Christophe Bouchet cominciarono a realizzare i loro murales, le persone cominciarono a fare un sacco di domande. Fu così che i due capirono di aver dato il via a qualcosa di veramente speciale e che se si fossero fermati avrebbero provocato un'altra domanda: “Perché avete smesso di dipingere il Muro di Berlino?” La domanda più frequente era: “Perché vogliono abbellire il Muro?” Al che, loro rispondevano: “Non stiamo cercando di renderlo più bello, perché questo sarebbe davvero impossibile. Ottanta persone sono state uccise mentre tentavano di scavalcarlo, nel tentativo di fuggire all'ovest, perciò anche se lo ricoprissimo con centinaia di litri di colore, il muro rimarrebbe sempre se stesso. Un mostro sanguinario, un vecchio coccodrillo che di tanto in tanto alza la testa, si mangia qualcuno e poi ritorna a dormire fino al pasto successivo. (…) Dopo il 1987, i ragazzini di 13 e 14 anni si sono uniti con le loro bombolette a questo sforzo creativo. Improvvisamente, in alcuni luoghi della città, il muro si trasformò in una vera e propria giungla di graffiti e l'opera di Noir e Bouchet, iniziata nel 1984, divenne una cosa normale.”(Il testo integrale si trova sul sito di Thierry Noir, nostra traduzione).

Altre immagini sono visibili sull'edizione online de La Stampa e QUI.


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domenica 18 ottobre 2009

TRACCE DI MURO: PRONTI AL VIA!

Ieri, sul Piccolo di Trieste:

Domani, finalmente, si parte. I due film che abbiamo scelto per aprire questa seconda parte di Tracce di Muro (terza, se contiamo anche la giornata dedicata al tema durante il Trieste Film festival dello scorso gennaio) sono pensati per essere visti in successione perché legati da un'unica riflessione ovvero su cosa si fonda l'esistenza di un sistema sociale?
Il primo titolo, Good Bye Lenin! di Wolfgang Becker, lo potremmo definire ormai un classico. Ci sembrava doveroso ripartire da questo film perché, secondo noi, mette bene in evidenza quello che è il senso di questo percorso autunnale di Tracce di Muro: per abbattere un muro ci vuole molto tempo e anche dopo che ci si è riusciti occorre tener conto del fatto che, oltre al muro vero e proprio, non si può dire di averlo eliminato per sempre fino a quando non lo si toglie anche dalla testa delle persone. Questo sarà un po' il filo conduttore anche degli altri programmi. Molti muri ancora esistono nel mondo, ma i peggiori sono forse quelli mentali, psicologici, i muri dell'incomunicabilità, della credenza cieca nelle ideologie, nell'attaccamento ostinato al proprio modo di vivere e di pensare. In Good Bye Lenin il muro di Berlino non c'è già più, sono passati mesi da quel fatidico 9 novembre del 1989 in cui le due Germanie sono tornate a essere un unico paese. La mamma di Alex è in coma, ha avuto un infarto assistendo al pestaggio in cui è stato coinvolto il figlio un mese prima del crollo del muro. Per fortuna, si è risvegliata, ma i medici temono che qualunque notizia scioccante possa incidere negativamente sul suo delicato equilibrio, a fatica riconquistato. Che fare? Il mondo attorno è del tutto cambiato: oltre al muro che è caduto, c'è il fatto che il paese si avvia alla riunificazione e il governo socialista non esiste più. Come se non bastasse, la donna è una fervente socialista, una di quelli che davvero ci crede. Alex ci pensa su e poi decide che non vuole rischiare. Aiutato dalla sorella e dall'amico aspirante regista Denis crea un'isola felice (almeno per la madre) all'interno dell'appartamento di famiglia, un microcosmo in cui si usano ancora i prodotti della DDR, in cui giornali e telegiornali raccontano una storia che, nel frattempo, ha preso per sempre una piega diversa. La messinscena, però, non può durare in eterno e toccherà ad Alex trovare una soluzione per non dare alla madre la più grande delusione della sua vita.
Uscito nel 2003, in piena Ostalgie (quella nostalgia dell'est che ha già un decennio circa di vita), il film si inserisce nello stesso filone di altri due film che abbiamo presentato nell'edizione primaverile di Tracce di Muro ovvero Sonnenallee, un film del 1999 di Leander Haussmann, che racconta la vita quotidiana di un gruppo di ragazzi di Berlino Est, e Go trabi Go di Peter Timm, del 1991, in cui la vacanza in Italia di una famiglia di ex tedeschi dell'est diventa un pretesto per cominciare a parlare della DDR con maggior leggerezza e sguardo divertito. leggerezza di cui nel 2003 sembra esserci ancora bisogno se pensiamo che, in Germania, Good Bye Lenin!, è stato uno dei maggiori successi di sempre al botteghino.
Torniamo alla domanda iniziale: cosa tiene in piedi un sistema sociale? Facile, sembra dirci il film: il fatto che i suoi cittadini credano nella sua esistenza. Finchè la mamma di Alex crede che la DDR esista ancora, questa - per quanto limitata a un appartamento - esiste realmente, con i suoi oggetti, il suo sistema d'informazione, ecc.



Questo ci porta al secondo film in programma: Kinder, Kader, Kommandeure (Pura e semplice propaganda) di Wolfgang Kissel e C. Cay Wesnigk, Germania, 1992. 94 minuti di incredibili filmati ufficiali, 40 anni di vita della DDR (dalla fine della Seconda guerra mondiale al crollo del muro), che ci raccontano uno dei modi storicamente più efficaci per convincere una popolazione che quello in cui vivono è il migliore dei paesi possibili: la PROPAGANDA. Il film mostra di tutto, dai record di produzione dei lavoratori socialisti alle bucoliche immagini del giuramento dei giovani pionieri, passando per le adunate di partito, i piccoli cosmonauti e gli esercizi ginnici di massa. Una raccolta unica di filmati didattici e di propaganda della DDR che ci mostra il ritratto di un paese che è esistito soprattutto nella mente di chi ci ha creduto. Divertente e terrificante allo stesso tempo...

I film saranno presentati al cinema Ariston di Trieste, alle 18.30 il primo, alle 20.30 il secondo.


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mercoledì 14 ottobre 2009

IL SUONO DEGLI INSETTI E DELLE MUMMIE

È stato decretato il vincitore dell'European Film Academy documentario 2009 Prix ARTE, assegnato dall'EFA in collaborazione con il canale culturale europeo ARTE a un documentario di qualità.
La giuria, composta dai documentaristi Nino Kirtadzé e Viktor Kossakovsky e dal produttore Franz Grabner, ha deciso di premiare The sound of Insects - Record of a Mummy di Peter Liechti, indagine sulla scoperta del corpo mummificato di un suicida.
In associazione con ARTE, il vincitore verrà proclamato durante la Cerimonia della 22° edizione degli European Film Awards che si terrà sabato 12 dicembre a Bochum, in Germania.
(fonte: Cinecittà news)

Presentato al festival di Rotterdam dello scorso gennaio (oltre che in molti altri festival importanti, da Visions du reel a Karlovy Vary), il film racconta la storia incredibile del ritrovamento, da parte di un cacciatore, del corpo mummificato di un quarantenne in una delle zone più sperdute della Svizzera. Si tratta del cadavere di un suicida, che ha deciso di lasciarsi morire di fame l'estate precedente e di cui non si saprà mai la vera identità. Tratto dal romanzo Miira ni narumade di Shimada Masahiko (basato su una storia realmente accaduta), il film - definito dal suo autore una sorta di "riavvicinamento cinematografico" di un testo di finzione - si propone come un manifesto per la preservazione della vita, concetto che viene sfidato apertamente dalla rinuncia radicale del protagonista alla vita stessa.

Guarda l'intervista rilasciata dall'autore al festival di karlovy Vary, intervallata da estratti del film:



Autore, regista, cameraman, filmmaker indipendente, Peter Liechti è nato a San Gallo, in Svizzera, nel 1951. Dopo gli studi di Arte e Design all'Università di Zurigo e un paio d'anni trascorsi a Creta, dove si è dedicato alla pittura e alla scrittura, nel 1983 ha avviato i suoi primi esperimenti cinematografici. Co-fondatore di K59 (KinoK) nel 1985, ha fatto anche parte dell'Achziger Film group di Zurigo dal 1988 al 1995. Dal 1990, vive e lavora a Zurigo. I suoi lavori sono stati presentati nell'ambito di numerosi festival. A partire dal 2003, gli sono state dedicate diverse retrospettive, a Zurigo, Lucerna, New York e Vienna.

Masahiko Shimada, nato a Tokyo nel 1961, è uno dei maggiori esponenti della nuova generazione di scrittori giapponesi. Dopo essersi laureato in Lingue straniere all'Università di Tokyo, Shimada ha pubblicato nel 1983 il suo primo racconto, Yasashii Sayoku No Tame No Kiyukyoku. L'anno seguente ha vinto il Noma Bungei Award for First Novels per il suo Muyu Okoku No Tame No Ongaku. Dopo un anno trascorso a New York in qualità di visiting professor alla Columbia University, Shimada è tronato in Giappone, dove ha pubblicato Yume Tsukai (tradotto in inglese come Dream Messenger, 1988) Fra le altre opere di Shimada, Yogensha No Namae (1992) e Uku Onna, Shizumu Otoko (1996), cui si vanno aggiungere anche testi teatrali, come Yurariumu, del 1990, da lui steso diretto e interpretato. In Italia, Marsilio ha tradotto Mi farò mummia (traduzione di Maria Roberta Novielli), quattro racconti per altrettanti vorticosi labirintici e impensabili percorsi verso una libertà impossibile, uno dei quali è proprio quello da cui Peter Liechti ha tratto ispirazione per il suo film.

Riferimenti:
Sito della European Film Academy: http://www.europeanfilmacademy.org/
Sito ufficiale di Peter Liechti: http://www.peterliechti.ch


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lunedì 12 ottobre 2009

TRACCE DI MURO_DA BERLINO AL 38° PARALLELO

Presentata oggi la seconda parte della rassegna TRACCE DI MURO, organizzata da Alpe Adria Cinema e ida Goethe Institut di Trieste in occasione del ventennale dalla caduta del Muro di Berlino. Continua la rassegna primaverile, TRACCE DI MURO_BERLINO 1961-1989, cui tanti post abbiamo dedicato, e parte dove quella si era interrotta cioè dalla constatazione che, a 20 anni dalla caduta del Muro, nel mondo restano ancora tanti muri: alcuni sono antichissimi, altri sono stati edificati (o rinforzati) dopo la fine della Guerra Fredda. Tutti separano popolazioni: gli Usa ne hanno eretto uno al confine col Messico, la Spagna ha messo il filo spinato a Ceuta e Melilla, il muro in Cisgiordania è lungo 15 volte e quello in Marocco persino 60 volte quello di Berlino. E poi, ancora, la Corea, dove la barriera che separa nord e sud segue un confine geografico astratto, il 38° parallelo, tracciato all’inizio degli anni ‘50. Nuove barriere sono state sollevate dal 1989: eppure, come insegna l’esperienza di Berlino, modificarne il tracciato (o, in alcuni casi, abbatterle) è soltanto il primo passo di un processo lungo e impegnativo per la convivenza fra i popoli. “TRACCE DI MURO_DA BERLINO AL 38° PARALLELO” (al Cinema Ariston di Trieste tutti i lunedì dal 19 ottobre al 9 novembre) riunisce film su Berlino e la Germania ad altri che parlano dei muri nel mondo: insieme all’ormai classico sulla riunificazione Good Bye Lenin! di Wolfgang Becker (Germania 2003, presentato in versione originale con sottotitoli italiani), anche Kinder, Kader, Kommandeure (Pura e semplice propaganda, Germania 1992), una raccolta di filmati didattici e di propaganda della DDR, frutto di un’imponente ricerca d’archivio; Da un muro all’altro – Da Berlino a Ceuta (Belgio 2008) di Patric Jean, sguardo ottimista e fuori dal comune sull’immigrazione e su cos'è diventata l'Europa a vent'anni dalla caduta del Muro; Mur (Il muro, Francia-Israele 2004, distr. it. Lucky Red) della regista arabo-ebrea Simone Bitton, Premio speciale della giuria al Sundance Film Festival di Robert Redford, documentario girato a ridosso della costruzione del muro che separa Israele e Palestina. La rassegna continua con i 5 cortometraggi finalisti del Berlin Today Award 2009, promosso dal Campus della Berlinale sul tema del “muro”: 5 viaggi intorno al mondo, 5 sguardi personali e divertiti fra i muri e le barriere che ancora resistono. Poi ancora, il nuovissimo Gesicht zur Wand (Contro il Muro, Germania 2009) di Stefan Weinert, in cui cinque cittadini della ex DDR, imprigionati in patria per aver cercato di fuggire all'ovest (come altri 70.000 loro compatrioti), si raccontano e raccontano i metodi della Stasi, in un documentario che inizia proprio là dove finiva il film premio Oscar Le vite degli altri. Chiusura con il bellissimo Le tre sepolture (The Three Burials of Melquiades Estrada, Usa 2006, distr. it. 01 Distribution), dove la vita al confine fra USA e Messico viene raccontata in modo insolito in questo esordio pluripremiato a Cannes di Tommy Lee Jones, qui regista oltre che interprete.
La rassegna - che viene completata da due appuntamenti nel Cavò di via S. Rocco (lo spazio riservato ai soci di Alpe Adria Cinema) uno dedicato alla Corea e uno a Berlino, rispettivamente il 4 e il 18 novembre - accoglie al proprio interno anche la presentazione (il 21 ottobre presso la Libreria Minerva) di un volume appena pubblicato da Laterza del giornalista e studioso Gian Enrico Rusconi, Berlino: la reinvenzione della Germania.

Di volta in volta, sul nostro blog, approfondimenti sui film presentati. Sulla Home page dell'associazione pdf del flyer e programma completo.
Info: films@alpeadriacinema.it

TRACCE DI MURO è una rassegna realizzata da Alpe Adria Cinema e Goethe Institut Triest, con il contributo della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e la collaborazione di Cinema Ariston e Mittelimmagini. A cura di Tiziana Ciancetta e Giovanna Tinunin.



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sabato 10 ottobre 2009

BALLETTO E PROPAGANDA. LA RUSSIA DI UN SECOLO FA

Ecco il nostro consiglio su come trascorrere questo pomeriggio se abitate in Friuli Venezia Giulia e siete appassionati di est, meglio ancora se di Russia. Se non ci siete ancora stati, potete andare a San Vito al Tagliamento, dove alla chiesa di San Lorenzo, è ancora possibile visitare la bellissima mostra "Arte e propaganda nella fotografia sovietica degli anni 1920-1940" (di cui avevamo già parlato QUI), organizzata dal Craf di Spilimbergo e prorogata fino alla fine di ottobre. Occasione davvero imperdibile per ammirare opere famose di fotografi come Rodchenko, Shaikhet, Grinberg, Ignatovich e altri. Una galleria che è un vero piacere per gli occhi e, allo stesso tempo, occasione per riflettere sul potere delle immagini. La giornata di oggi, poi, è anche l'ultima occasione per gustare una delle chicche proposte come ogni anno dalle Giornate del cinema muto di Pordenone. Visto che la mostra a San Vito chiude alle 20, avete tutto il tempo per vedere DIE GEZEICHNETEN (Elsker hverandre/Love One Another) [Gli stigmatizzati] di Carl T. Dreyer (ore 16.10, Teatro Verdi). "L’azione del film si svolge in Russia, prima e durante la rivoluzione del 1905. Un prologo, oggi costituito solo da cartelli di didascalie (che non sappiamo se in origine fossero accompagnati da immagini o meno) presenta i russi come individui pigri, ma terribili quando si scuotono dal torpore. Tra di essi serpeggia il malanimo verso i propri vicini ebrei. Già da adolescente, Hanne-Liebe sperimenta il pregiudizio. In seguito, diventata una giovane donna, si invaghisce di Alexander/Sascha, uno studente dalle simpatie rivoluzionarie. Il buono a nulla Fedja sparge voci malevole, e Hanne-Liebe viene espulsa dalla scuola. La giovane fugge a Mosca, dove il fratello Jakow, ormai staccatosi dalla famiglia, si è convertito al cristianesimo diventando un avvocato di successo. A Mosca ritrova Sascha, il quale però viene istigato da uno spione della polizia, Rylowitsch, a compiere un atto terroristico. Tutti i rivoluzionari vengono arrestati, e Hanne-Liebe è costretta a tornare nella sua città. (...) Dreyer volle che la realizzazione del film rispecchiasse la massima autenticità. Con il suo scenografo Jens Lind, viaggiò a Lublino, in Polonia, dove c’era una grande comunità ebraica; gli esterni del film, ricostruiti a Berlino, riproducevano le architetture che avevano visto là. Come comparse, Dreyer scritturò decine di ebrei profughi dalla Russia (in quel periodo ce n’erano molti a Berlino, alcuni con esperienze dirette dei pogrom). Una parte della troupe moscovita dell’Art Theatre di Stanislavsky era finita a Berlino dopo la presa del potere da parte dei bolscevichi e la guerra civile russa, e Dreyer poté avvalersi di molti di questi attori, il cui stile naturalista ammirava enormemente." (estratto della scheda a cura di Casper Tybejerg, contenuta nel Catalogo ufficiale del festival).
In alternativa, alle 17.30 al ridotto del Verdi, il programma "Ballets Russes 100", due rarissime testimonianze filmate sui Ballets Russes, nel centenario della loro fondazione. Quelli che sono stati presentati a Pordenone mercoledì 7 ottobre e che oggi vengono replicati rappresentano gli unici filmati conosciuti che si conoscano dei Ballets Russes, relativi alla prima stagione parigina del 1909: La Danse du Flambeau (Les Films du Lion, FR 1909), con Tamara Karsavina; Pas de Deux et Soli (Les Films du Lion, FR 1909), con Alexandra Baldina, Theodore Kosloff; e 18 minuti di riprese di Anna Pavlova (sei brevi danze) nel 1924, girato in occasione della visita che la grande ballerina fece nel 1924 allo studio Fairbanks, dov'era in produzione Il ladro di Bagdad .

Sito ufficiale delle Giornate: http://www.cinetecadelfriuli.org/gcm/


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venerdì 9 ottobre 2009

UN NOBEL DAL PAESE DELLE PRUGNE VERDI

È di ieri l'annuncio che Herta Müller, saggista e poetessa tedesca di origine romena, ha vinto il premio Nobel per la letteratura. La Müller, nata nel 1953 a Niţchidorf, in Romania, ha studiato all'Università di Timişoara, e nel 1976 ha iniziato a lavorare come traduttrice in un'azienda, dalla quale sarà licenziata nel 1979 per mancata collaborazione con la Securitate, i servizi segreti romeni. Questa esperienza, com'è ovvio, ha segnato tutta la sua vita personale e artistica. La motivazione con cui l’Accademia di Svezia le ha conferito il Nobel è infatti quella «tratteggiato il panorama dei diseredati» in Romania sotto la dittatura di Ceasescu «con la concisione della poesia e la schiettezza della prosa». Nel 1982 ha pubblicato il suo primo libro, Niederungen, una raccolta di racconti che esce però in forma censurata. Nel 1987, ha lasciato la Romania e si è trasferita in Germania, dove vive tuttora. In Italia sono state tradotte poche delle sue opere: In viaggio su una gamba sola (Marsilio, 1992, nuova edizione in libreria la prossima settimana) e Il paese delle prugne verdi, ritratto impietoso di un paese dominato dalla paura e dall’oppressione della dittatura, tradotto in 15 lingue e pubblicato l'anno scorso dall'editore Keller di Rovereto (sul sito della casa editrice si può leggere un estratto del libro). Herta Müller è stata recentemente ospite del Festivaletteratura di Mantova.
Proprio dal sito della Keller, è preso questo estratto di un suo memoriale apparso su "Die Zeit" il 23 luglio 2009:
“Gli intellettuali romeni erano disinteressati nel voler vedere svelati gli incartamenti segreti tanto quanto verso le vite che erano andate perdute attorno a loro, o verso i nuovi legami tra i capi dei partiti e gli ufficiali dei servizi segreti. Se, come me, hai chiesto pubblicamente accesso agli incartamenti anno dopo anno, cominci a dare sui nervi persino ai tuoi amici. Questo è il motivo per cui, per anni, i dossier della Securitate non sono sono stati effettivamente in possesso del National Council for the Study of the Securitate Archives (conosciuto come CNSAS) che è stato costituito a malincuore nel 1999 ma con i nuovi-vecchi servizio segreti, su pressione della Comunità europea.
Loro controllavano tutti gli accessi ai dossier. Il CNSAS doveva inviare le richieste a loro; qualche volta venivano soddisfatte, ma per la maggior parte venivano respinte, persino con la motivazione: "L'incartamento non è ancora stato chiuso". Nel 2004 ero a Bucarest per dare peso alla mia reiterata richiesta d'avere accesso al dossier. All'entrata del CNSAS sono rimasta perplessa nel trovare tre giovani donne in vestiti succinti con lunghi colli e vistosi collant come se fosse un qualche centro erotico. E tra le donne c'era un soldato con un fucile automatico a tracolla come se fossimo in una caserma militare. Il capo del CNSAS pretendeva di non essere lì, anche se avevo un appuntamento con lui.
Questa primavera un gruppo di ricercatori è capitato sugli incartamenti inerenti gli autori romeno-tedeschi dell'Aktiongruppe Banat. La Securitate aveva dipartimenti specializzati per ogni minoranza. Per i tedeschi era chiamato "Nazionalisti e Fascisti tedeschi", la sezione ungherese si chiamava "Irredentisti ungheresi", quella ebraica "Nazionalisti ebrei". Solo gli autori romeni avevano l'onore di essere posti sotto il contrrollo del dipartimento di "Arte e cultura".
Improvvisamente trovai il mio incartamento, sotto il nome di "Cristina". Tre volumi, 914 pagine.”
(continua a leggere sul sito di Keller editore)

Fonti:
Sito ufficiale di Keller editore: www.kellereditore.it/
Pagina di Google Books, dove è possibile leggere la versione inglese di Niederungen
Recensione del New York Times


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mercoledì 7 ottobre 2009

STALKER TRA LE ROVINE

Il modernismo è una storia di rovine. Una successione ininterrotta di crolli e disillusioni. Alla base, c'era l'idea che qualcosa, nel mondo, nei rapporti tra le persone, nella produzione artistica, potesse davvero cambiare. O che quantomeno fosse possibile compiere un'operazione che, oggi, nella quieta onnipervasività della politica spettacolare, dell'estetica post-tutto, nell'idea che le ideologie non ci siano più, ci sembra impossibile e remota. L'idea che un'opera possa realmente rappresentare una presa di posizione critica rispetto all'esistente. Che si possa ancora militare (parola che suona strana, fuori moda) contro qualcosa o, meglio ancora, a favore di qualcosa'altro.
Owen Hatherley, blogger incallito, studioso di architettura, amante di cinema e musica, ha pubblicato un libro, Militant Modernism, che cerca di compiere un'operazione da stalker degna di Walter Benjamin: entrare nella zona proibita, reiniettare la vita dentro le rovine, seguire le traiettorie possibili di un sogno molto concreto di trasformazione sociale. La concretezza è quella del concrete, del cemento armato, quello che in francese si chiamava béton brut. Da cui il termine brutalismo, scuola architettonica inglese degli anni '50 e '60, associabile al progetto laburista di costruzione di una "nuova Gerusalemme" sulle ceneri della Seconda guerra mondiale. Questi giganteschi edifici, grigi e striati dalle colate di cemento armato, sono le mastodontiche rovine abbandonate, a volte abbattute, altre volte mal tollerate, di un'estetica che era innanzitutto una politica. Vale a dire il sogno di dar vita, attraverso le geometrie rigorose e il razionalismo estremo derivato dalle unité d'Habitation di Le Corbusier, a un Eldorado per la working class. L'idea cioè che, in una società fortemente classista come quella britannica, ci potesse essere un'estetica militante, basata sulla convidisione di spazi sociali, sull' avanguardia tecnica, sulla cura progettuale. Una redenzione socialista compiuta attraverso la forza del cemento, opposta all'estetica dei tradizionali quartieri della working class, fatti di mattoni e cortili privati.
Ora questi residui di un'altra epoca rimangno come un ammonimento, non riassorbibili nell'atmosfera post-moderna, fatta di vetro e villette. Edifici che possono sembrare brutti, che forse lo sono. La bruttezza brutale di costruzioni che volevano essere anche affermazioni politiche e che poplano un'estetica alternativa della cultura inglese (le visioni di Thamesmead in Arancia Meccanica, i paesaggi stranianti di Newcastle in Get Carter con Michael Caine, tutta l'estetica di decadimento sociale e urbano del Red Riding Quartet di David Peace).
L'affascinante percorso proposto da Owen riconnette alcuni frammenti sconnessi, rimette insieme rovine, tracciando una rotta che passa attraverso i relitti devastati delle case comuni sovietiche, dei club per i lavoratori, abbandonati in uno splendore stalkeriano, fatto di umidità e marciume post industriale. Haterley segue la vicenda del modernismo sovietico (lo stesso di un film come Aelita di Protazanov) in opposizione al realismo socialista, raccontando il rapporto tra avanguardia artistica e Byt, la vita quotidiana, che avrebbe dovuto, secondo le idee di artisti e creatori come Rodchenko, Milinis, Ginzburg, Nikolaev, trasformare il genere umano. Poi ci sono le idee di ridefinizione dei rapporti tra i sessi viste attraverso i film di Makavejev e le teorie orgoniche di Wilhelm Reich. E infine il grande rimosso del nostro tempo, Bertolt Brecht, con il suo teatro fatto di distanziazioni, intervalli, sospensioni. In Brecht il famigerato Verfremdungseffekt (lo straniamento) crea le condizioni per costruire un ibrido espressivo riutilizzando, in ambito puramente teatrale, procedimenti presi dalla radio e dal cinema. E proprio il modernismo politico e militante di Brecht rappresenta una delle chiavi di lettura del libro creando connessioni con pratiche creative attuali. L'accento brechtiano sulla riappropriazione estetica dei mezzi di comunicazione ed espressione riemerge nei luoghi più impensati, ad esempio nei soundsystem giamaicani e nella produzione a basso costo di pezzi dub, negli effetti dell'estetica sonora nel "nuum", il continuum hardcore che attraversa la musica inglese degli ultimi anni (la jungle, lo uk garage, il 2 step, il grime e il dubstep). Oppure sono brechtiani gli innesti dell'estetica industriale nella cultura pop, in gruppi come i New Order. Questo modernismo per le masse permette a Hatherley di creare una connessione vertiginosa che porta in Italia. C'è stato un periodo in cui, ad esempio, Gramsci poteva parlare di proletcult, una cultura proletaria legata all'esplosione estetica del futurismo, prima che quest'ultimo venisse "fascistizzato". In un'epoca in cui ogni movimento diventa una nicchia di consumo e in cui il futurismo diventa l'occasione per creare innocui gadget da anniversario o, peggio ancora, dà il via libera ad ambigue rivalutazioni di certi periodi storici, l'idea di seguire le apparizioni di un sogno di trasformazione attraverso un secolo sembra una storia di fantasmi. E i fantasmi, com'è noto, non muoiono mai, ma ritornano a tirare i piedi di chi dorme.
di @AlunnoProserpio

Owen Hatherley, Militant Modernism, Zero Books, 2009.



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martedì 6 ottobre 2009

LA JUGOSLOVENSKA KINOTECA A PORDENONE

I 60 ANNI DELLA JUGOSLOVENSKA KINOTECA
Il più vasto archivio cinematografico dell'Europa sudorientale

La quarta serata (martedì 6 ottobre) delle Giornate del Cinema Muto 2009 si apre con un omaggio alla Jugoslovenska kinoteca (oggi Archivio cinematografico nazionale della Repubblica di Serbia) fondata a Belgrado nel 1949. Dal nucleo originario di poche centinaia di copie, oggi l'Archivio ne conta circa 95 mila, numeri che le hanno fatto guadagnare il riconoscimento di più vasto archivio cinematografico dell'Europa sudorientale. Circa l'85% dei film della Jugoslovenska kinoteca sono stranieri e questo la rende particolarmente interessante per archivisti e ricercatori di tutto il mondo.
Ecco allora che il programma celebrativo di questa edizione del festival unisce ad alcuni film serbi di importanza storica, una serie di rari film stranieri.
I film nazionali sono Sa verom u boga (Con la fede in Dio), girato nel 1932 da Mihajlo Al. Popović, il più importante lungometraggio jugoslavo del periodo tra le due guerre, e Beograd po zimi (Belgrado in inverno) prodotto da Svetozar Botoric nel 1914.
"Sa verom u boga (Con le fede in Dio), girato nel 1932, è considerato il lungometraggio di maggior successo mai prodotto nel Regno di Jugoslavia. Mihajlo Al. Popović trasse ispirazione dal racconto di Branislav Nusić La casa abbandonata e dall’incontro casuale con un eroe di guerra che chiedeva l’elemosina per realizzare questo film sulla storia di un contadino serbo che va soldato, rimane in guerra per quattro anni e infine torna a casa invalido. Il film fu interamente girato nel villaggio di Kumodraž, nei pressi di Belgrado. Solo la protagonista Desanka Janojlić era un’attrice professionista, mentre tutti gli altri interpreti erano dilettanti privi di qualsiasi esperienza cinematografica. Realizzato quando il sonoro si era ormai affermato, Sa verom u boga fu girato come film muto per mancanza di fondi; una colonna sonora fu aggiunta in seguito, utilizzando musica tratta da dischi di fonografo. Lirico e crudele, pregno di valori patriarcali ma cinematograficamente modernissimo, Sa verom u boga rappresenta l’espressione più sincera del cammino di sofferenza e salvazione compiuto dal popolo serbo nel corso della grande guerra" (...) "Beograd po zimi, primo film dedicato a Belgrado capitale della Serbia, è stato scoperto nel 2007 nella collezione Ignaz Reinthaler del Filmarchiv Austria di Vienna; insolitamente lungo per la sua epoca, esso non figurava in nessuna delle filmografie serbe esistenti. Si tratta di un poetico murale cinematografico in cui sono immortalate molte delle più suggestive piazze e vie della città, oltre alle più importanti istituzioni e alle mete più frequentate per i picnic; alcuni di questi luoghi sono rimasti quasi immutati fino a oggi. La pellicola ci mostra inoltre il primo cinematografo permanente della Serbia, il “Paris”, aperto nel 1908 all’interno del lussuoso “Grand Hotel” da Svetozar Botorić, il primo produttore cinematografico serbo." (dalle schede a cura di Aleksandar Erdeljanović, Catalogo del festival, p. 158)
La parte internazionale del programma contiene alcune autentiche perle, come Akt-Skulpturen: Studienfilm für bildende künstler, girato nel 1903 da Oskar Messter; L'ostaggio di Luigi Maggi, del 1909; il film americano Hansel and Gretel, diretto da J. Searle Dawley nel 1909; e una splendida copia Pathé, colorata “au pochoir”, di Barcelone, principale ville de la Catalogne , realizzata da Segundo de Chomón nel 1912, oltre a un omaggio alla leggendaria figura di Henri Langlois, filmato nel 1954, in occasione della sua visita alla Jugoslovenska kinoteka.
Le curiosità principali sono due cartoni animati degli anni Venti, non identificati, che hanno per protagonista “il re”, ossia Charlie Chaplin, e una selezione di “classici” porno muti, realizzati negli anni Venti, Trenta e Quaranta.
Il completamento del nuovo edificio, che ospita varie sale cinematografiche, l'apertura di un nuovo deposito per la conservazione dei film a colori, la ricostruzione del vecchio deposito per le pellicole in bianco e nero, e infine l'istituzione di un nuovo dipartimento per il restauro digitale del sonoro e delle immagini: tutto ciò consente alla Kinoteka di valorizzare e conservare sempre meglio un patrimonio di singolare ricchezza.

(tutte le informazioni sono tratte dal catalogo e dal sito ufficiale del festival: http://www.cinetecadelfriuli.org/gcm/)


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